Recensioni
Il Noachismo
Autore | Elia Benamozegh |
Genere | saggio |
Area | Attività Scientifica |
Casa editrice | Marietti |
Anno | 2006 |
Al termine del mabbul (diluvio) la colomba inviata da Noè per verificare la possibilità di rimettere i piedi sul suolo torna all’arca con in bocca un ramoscello d’ulivo, primo simbolo di una pacificazione cui si affianca l’immagine dell’arcobaleno, col quale viene ripristinato un ordine naturale, che non verrà mai più interrotto. Il nuovo patto fra Noè e Dio prevede il rispetto di 7 principi, uno positivo e 6 negativi, che rappresentano il primo nucleo di una fratellanza universale. I 7 principi consistono nel: istituire dei tribunali, proibizione del sacrilegio, del politeismo, dell’incesto, di uccidere, di rubare, dell’uso delle membra di un animale morto. Tralasciando le difficoltà interpretative relative soprattutto all’ultimo divieto, la domanda sorge spontanea: il successivo patto fra Dio ed Abramo, col quale coincide l’“elezione” del popolo ebraico, contraddice l’ideale di una fratellanza universale così come è posta dai 7 principi noachici? Elia Benamozegh (Livorno 1823-1900), talmudista, cabbalista, filosofo, tra i più importanti rabbini italiani dell’Ottocento, oltre che insigne pensatore di diritto fra i grandi del suo tempo, riflette sulla natura del noachismo, leggendolo in relazione all’identità ebraica, che andava ripensandosi sulla scia dell’avanzare degli ideali rivoluzionari.
La questione è nota agli interpreti: il carattere nazionale di Israele contraddice il suo afflato universale? Benamozegh ricorda, anzitutto, i frequenti casi di adesione di persone non ebree ai figli di Israele, come già narrato nella Torah, dove si sottolinea, “la moltitudine considerevole di egiziani che partirono con Israele” (p. 27), in quanto riconobbero nel pensiero ebraico il portatore degli ideali universali di libertà ed uguaglianza capaci di riscattare la dignità di ogni essere umano. Per cui, conclude l’autore, “Si può affermare, in generale, che l’ebraismo ha insegnato e praticato l’uguaglianza civile e politica tra gli uomini, siano essi israeliti, proseliti o gentili.” (p. 35). Ed anche in questo caso, numerosi sono gli episodi riportati nel Tanak e nel Talmud: dall’imperativo di sostenere i poveri dei gentili e di seppellire i loro morti (p. 37), fino al Re David che “seppellisce i suoi nemici e invia messaggeri a Canum, figlio di Nacas, re di Ammon, per porgergli le sue condoglianze per la morte del padre” (p. 37).
La domanda, però, resta ancora inevasa: in che modo il particolarismo ebraico non contraddice l’universalismo etico del noachismo, che già Spinoza indicava come la legge morale di tutti i popoli? Benamozegh insiste sul carattere sintetico delle norme noachidi, le quali contengono in nuce tutte le 613 mitzwot (precetti) ebraiche. Una continuità ben visibile anche nella pratica, dove chi aderisce ai principi noachici può aderire liberamente alla successiva legge mosaica, scegliendo di praticare i precetti cui si sente più vicino: “L’intera legge di Mosé è dunque aperta al noachide; di essa può prendere quel che vuole, così che la sua legge personale, pur costituendo un minimum di obblighi, che non gli è permesso di diminuire sotto alcun pretesto, può accrescersi delle diverse osservanze mosaiche che desideri praticare di sua spontanea volontà” (p. 43). All’ebreo è richiesta una maggiore osservanza perché maggiore è la responsabilità che lo investe: se i gentili devono perseguire la pace qui in terra, il popolo ebraico ha il dovere di rimediare alla frattura fra terra e cielo dovuta al peccato originale: “La legge noachide ha un carattere del tutto razionale. La natura del mosaismo è completamente diversa; è la legge sacerdotale promulgata non solo per questo mondo, ma anche per il cielo, ossia per dirla con linguaggio filosofico, in vista dei rapporti della terra con l’universo materiale e spirituale” (p. 56).
C’è un’ultima questione sulla quale si interroga il curatore del volume Marco Morselli nella sua puntuale introduzione: il noachismo, con la sua propensione universale, coincide col cristianesimo? Se lo si pensasse, si tornerebbe ad un’interpretazione particolarista dell’identità ebraica. Il problema è non invertire la testa e la coda: si riflette sul cristianesimo in quanto si propone come compimento delle stanze etiche ebraiche, collocandosi, dunque, al termine di un percorso, di cui il noachismo è l’ispirazione di partenza. Allo stesso modo, coloro, in ambito ebraico, che vorrebbero sostituire al cristianesimo l’etica noachica corroborerebbero l’immagine di un ebraismo esclusivista e chiuso in se stesso. Ebraismo e cristianesimo sono, piuttosto, percorsi che interpretano in maniera diversa una comune origine. Davide Assael |