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La fratellanza nella tradizione biblica: Giacobbe e Esaù
Autore | Davide Assael |
Genere | saggio |
Area | Attività Scientifica |
Casa editrice | Edizioni Fondazione Centro Studi Campostrini |
Anno | 2014 |
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Il testo di D. Assael interroga il concetto di fratellanza quale si è definito nell'immaginario collettivo a partire dalle differenti letture della narrazione biblica. Le interpretazioni gravitanti attorno a Giacobbe sono qui assunte ad oggetto di studio in quanto ritenute fondative di quei differenti "percorsi identitari", come Assael si esprime citando uno dei suoi maestri, Haim Baharier, che costituiscono lo sfondo della civiltà occidentale. Al di là della legittimità storica della Torah, dirimente è per l'autore il ruolo che tali narrazioni hanno avuto e continuano a giocare nel plasmare il nostro orizzonte etico. Tale problematica potrebbe sembrare valida solo per chi si riconosca in una delle tradizioni nate nel solco del racconto testamentario. Forza del libro consiste nel mostrare il contrario, facendo emergere come la "vita del patriarca Giacobbe" sia "eziologia simbolica" (p. 20) che appella l'Occidente tutto, ivi compresa la sua parte secolare. Posto tale ruolo delle interpretazioni bibliche, e nella fattispecie il legame tra interpretazioni della vita di Giacobbe e formulazione del concetto di fratellanza, a fare problema è il conflitto interno tra queste, sino a una eventuale antiteticità tra le letture di matrice ebraica e cristiana. Come noto è stata quest'ultima a egemonizzare l'immaginario collettivo europeo imponendosi come archetipo con cui pensare la relazione all'altro. Se è necessario un confronto tra le diverse interpretazioni e un'analisi degli effetti che queste comportano è perché tale egemonia dell'immaginario è, nei più, inconsapevole. L'indagine di Assael si vorrebbe, in questo senso, interrogativo rivolto all'inconscio europeo. Il volume, agile e privo di retorica, ripercorrendo le letture fondative di giudaismo e cristianesimo, così come il contributo di figure esenti da facili categorizzazioni quali Filone d'Alessandria, coglie nel riferimento a Giacobbe il comune tentativo di stabilire i "vincoli di appartenenza al di là di origini etniche" (p. 11). Sia ebraismo che cristianesimo propongono un modello di società non gerarchica ove il riferimento alla Trascendenza permetta di liberare "l'individuo da ogni autorità terrena, compresa quella paterna" (p. 29), come l'autore sottolinea a partire dalla rilettura di Gen. 28, 13. La divergenza identitaria verrà altresì individuata nel concetto di limite, valorizzato nell'ebraismo e diniegato nel cristianesimo. In tal senso Assael legge il giudaismo come "universalismo con limite" (p. 47) dal momento in cui la realizzazione dell'universale è qui pensata in base alla differenza tra Israel e gli altri popoli così come tra Israel e la Trascendenza. Differenze, cioè limiti, delineati a partire dall'alterità tra Giacobbe e Esaù. La non risoluzione del rapporto tra i due fratelli rende ragione dell'“impianto dualistico” (p. 105) con cui il giudaismo pensa il monoteismo, portando Giacobbe a chiamare l'accampamento del Signore “Makhanaim – doppio accampamento” (p. 39). Viceversa il limite è assunto come barriera tra popoli nell'ambito cristiano che, specularmente, sarà definito "universalismo senza limite” (p. 74) poiché qui la Trascendenza non riconosce differenze proponendosi come modello per l'umanità tutta. La concezione del limite condiziona quella di universale ed entrambe sembrano derivare da una differente immagine della fratellanza. Nella tradizione ebraica Giacobbe può divenire Israel nella misura in cui è negazione etimologica di Esaù ricondotto, seguendo Rashi , "alla radice di asah, fare" e quindi definito come "già fatto", completo. Giacobbe, dopo la lotta con l'angelo, diviene claudicante. Privato di completezza, limitato nel suo essere, in Giacobbe si ritrova sia la tensione a superare la propria condizione sia la necessità di realizzare tale superamento a partire dal “paradigma della Terra” (p. 11) intesa come “punto di concretizzazione” delle “intenzioni etiche” (p. 30). Colpito nella prestanza fisica Giacobbe, immagine "diametralmente opposta a (quella) greca" dell'eroe (p. 42), può divenire Israel, ricevendo l'eredità della terra dei padri ove, come afferma Baharier, costruire un'economia di giustizia. Ma è proprio quando si parla di un appello a Israel che si incappa nell'elemento che, nella percezione cristiana pre-conciliare e in quella secolare attuale, continua a far problema, riportandoci a quel "tentativo di abbattere il limite" (p. 46) inteso dall'autore come matrice prima dell'antigiudaismo. L'appello viene rivolto a una singolarità che si impegna nel compito di assumere l'universale a partire dal particolare "sfuggendo -così- al principio di non contraddizione". Su queste basi viene letta la vicenda di Giacobbe, nel suo doppio movimento di fuga da Esaù verso Labano e da Labano verso la terra paterna. Come in quest'ultima l'incontro con Esaù porta "ad un abbraccio -che- non significa fusione" (p. 43) così l'istituzione di un limite "difende Labano da Giacobbe e Giacobbe da Labano" (p. 39). La concezione di fratellanza sviluppata a partire dall'impegno a garantire la reciproca alterità è dunque legata all'equilibrio tra identità specifica e messaggio universale: così come l'abbraccio con il fratello non porta alla con-fusione con esso, parimenti il messaggio universale non è inteso come modello da imporsi, poiché "l'etica israelita non prevede momenti di invasione" evitando ogni "processo di reudctio ad unum" (pp. 37, 38). Nozioni di fratellanza e universalità riguadagnatili a partire dalla concezione ebraica della Trascendenza che trova espressione icastica nel sogno di Giacobbe dove la celeberrima scala si presenta in opposizione al modello fallico delle "torri di Babilonia e -delle- piramidi" d'Egitto che, esprimendo "l'ambizione di perforare il cielo" (p. 28), assumono l'alterità come termine di conquista su cui virilmente dominare, cadendo nell'idolatria del possesso. Viceversa la scala rappresenta "l'immagine della reciprocità" dove l'universalità è declinata in modo dialogico. Il rispetto dell'alterità della Trascendenza è dunque conditio per concepire la fratellanza a partire dal limite. Pure è proprio a partire da questa "affermazione dell'assoluta trascendenza di Dio" (p. 68) che Paolo spezza "il legame tra la fede e le opere" ponendo l'universale oltre il limite del particolare ebraico. Prendendo le mosse dal primato della fede così posto, Origene potrà pervenire ad una rilettura radicale della vita del patriarca Giacobbe assunto come immagine della vittoria della Chiesa, spirituale, sulla Sinagoga, carnale. L'appropriazione simbolica del patriarca non è senza conseguenze nella formulazione del concetto di fratellanza e di universale. Se Paolo ha detto che "non vi è più giudeo né greco" ne viene che il paradigma della fratellanza non è più nell'abbraccio che pone fraterna distanza bensì nell'abbraccio che include, tanto efficacemente da portare alla sussunzione a sé di qualsiasi particolarità altra, come la coscienza ebraica, stretta tra assimilazione e sterminio, non può dimenticare. Quest'ultima osservazione non è frutto di un problema contingente. Ciò che si è verificato nella relazione tra ebrei e cristiani è sintomo di un nodo organico alla rilettura dell'episodio di Giacobbe e Esaù posto che quest'ultimo, stando ad Ambrogio, "rappresenta le pulsioni che ostacolano il cammino dell'universalismo cristiano: gli ebrei" (p. 90), operando così un decisivo "ribaltamento simbolico", che ancora ci interroga. E' altresì possibile vedere come il particolare ebraico sia costantemente sollecitato dalla Torah a fare del proprio interagire con autrui una "école de xenophilie" (p. 21) come Assael, citando Levinas, afferma in riferimento all'episodio dei pozzi che connette le peregrinazioni di Isacco in Gherar con quelle di Giacobbe inCharan (Gen, 29,10). L'equilibrio tra preservazione di sé e apertura all'alterità, tra costituzione del confine e apertura dei pozzi, può essere nell'Europa dei nostri giorni, chiamata ad accogliere i migranti e a salvaguardare i valori illuministici, estremamente preziosi.
Le differenti declinazioni di fratellanza così delineate richiedono di essere affrontante in un contesto che, a partire dal rispetto dei differenti percorsi identitari, possa aprirsi all'orizzonte libero della ricerca. Non è allora un caso che il libro si chiuda con il riferimento al metodo storico-critico inaugurato da Spinoza che per quanto non possa “aiutare ad elaborare una definizione di un'ideale della fratellanza" (p. 102) indica la strada da percorrere affinché i differenti contenuti simbolici non divengano casus belli di reciproche scomuniche. Il libro di Assael, riportando in modo sintetico tale complessità di prospettive, si presenta come esempio di un pensiero che, sulla scorta del filosofo milanese Martinetti, sia in grado di garantire l'esistenza di ogni interpretazione, i cui effetti identitari sono razionalmente controllabili soltanto se esplicitamente riconosciuti, divenendo invece pericolose coazioni a ripetere se taciuti.
Cosimo Nicolini Coen
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