Recensioni
Anamnesis. Ricordi familiari di un’ebrea sefardita di Salonicco
Autore | Flora Molcho |
Genere | autobiografia |
Area | Attività Scientifica |
Casa editrice | Esedra |
Anno | 2014 |
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Flora Molcho appartiene a una famiglia ebraica sefardita di Salonicco, che, per motivi di studio, a 24 anni si è trasferita a Padova, ove poi si è sposata. Lavora quale traduttrice e insegna a Padova quale lettrice di neo greco. Nell’introduzione l’autrice chiarisce che è stata spinta a scrivere questo libro autobiografico non soltanto per narrare di sé stessa e della sua famiglia, ma per scrivere un “inno” ai più di cinquantamila ebrei saloniccesi vittime dello Shoah, scomparsi in modo così tragico, ma anche a quelli ancora vivi. L’intento è di dare risalto alla grande comunità di ebrei di Salonicco e alla sua importanza nella vita della città, sottolineando anche le sue difficoltà a riconoscersi a livello identitario sia «come ebrea di Salonicco, sia come "italiana" straniera in Italia e ormai ancora più straniera nel suolo dove sono nata». Per far comprendere come Salonicco fosse stata, dalla seconda metà dell’ottocento alla prima metà del novecento, un crogiolo di culture ed etnie e per descrivere la realtà della comunità ebraica di Salonicco, vecchia di 450 anni, arrivata in gran parte nel 1492 dopo la cacciata dalla Spagna, l’autrice parte dalla sua famiglia e dal padre poliglotta che parlava ben sei lingue, tra cui il turco, essendo nato sotto l’impero ottomano; a tal fine, descrive come gli ebrei di Salonicco fossero non solo cosmopoliti, ma come avessero contribuito a fare di Salonicco una città intellettuale e colta, tanto che nel periodo tra il 1860 e il 1930 si registrava la presenza di 105 quotidiani e riviste in ladino e in francese. Riferisce, altresì, della libreria internazionale Molho, famosa non solo a Salonnico, ma anche in Inghilterra, Francia e negli Stati Uniti per l’importante scelta di libri internazionali che offriva, fondata nel 1988 sotto l’impero ottomano e che aveva resistito fino al maggio 2008, gestita sempre da membri della stessa famiglia. Racconta come furono decimati tragicamente gli ebrei di Salonicco dai tedeschi, che nel 1943 deportarono 56.000 membri su 58.000 (circa il 98%), e riconosce come i pochi che scamparono alla deportazione furono salvati dalla grande generosità e umanità dei loro compatrioti ortodossi. Pur sentendosi profondamente greca, l’autrice ricorda come il padre le rammentava sempre che, come ebrea, dopo quello che era successo durante l’ultima guerra, non doveva avere radici perché un giorno avrebbero potuto tutti cacciarli via anche dalla Grecia. Quindi la esortava a non contare né sui loro beni né sul denaro in quanto da un momento all’altro avrebbe potuto rimanere senza nulla ed essere espulsa. Gli unici beni su cui doveva contare dovevano essere la cultura e la conoscenza delle lingue perché nessuno avrebbe potuto sottrargliele. Gli unici strumenti che le avrebbero permesso di vivere contando sul proprio lavoro in qualunque parte del mondo. I ricordi vanno, poi, al colpo di Stato dei colonnelli nell’aprile del 1967, che l’avevano costretta negli anni universitari a vivere con la paura e con la bocca cucita, e che la portarono ad andarsene dalla Grecia in Italia. Dopo ciò, le difficoltà di inserirsi in una realtà come quella di Padova per il suo provincialismo, provenendo da una città cosmopolita come Salonicco, pur riconoscendo che ormai l’Italia è diventata la sua nuova casa, ove sono nate e cresciute le sue figlie e risiedano amici, che ormai fanno parte della sua vita da trentacinque anni a questa parte. Ricorda come molti la accolsero con diffidenza in quanto considerata “straniera”, e che ancora oggi non riconoscano il suo diritto a criticare le cose che non funzionano in Italia; peraltro riferisce anche come, quando ritorna in Grecia, viene considerata come “l’italiana” che non può criticare ciò che non va bene nella politica o nell’economia greca. Conclude il libro riferendo con nostalgia come Salonicco, pur essendo greca e ancora cosmopolita, sia rimasta una città “orientale”, ove è ancora piacevole bere il caffè seduti su divani orientali e chiacchierare per ore con amici e amiche, senza considerare il tempo che passa, riprendendosi i ritmi levantini proprie di una città dell’oriente. Una storia ebraica, una storia europea.
Davide Assael
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