Recensioni

Alla fine del sonno

AutoreWillem Frederik Hermans
Genereromanzo
AreaAttività Culturale
Anno2014
BibliotecaVisualizza la scheda del libro
Il romanzo Alla fine del sonno scritto nel 1966 dall’olandese Willem Frederik Hermans viene pubblicato per la prima volta in Italia dalla Casa Editrice Adelphi all’inizio dell’estate del 2014.
 
Willem Frederik Hermans (Amsterdam 1921 - Utrecht 1995) è uno dei massimi scrittori della letteratura neerlandese  del ‘900 a cui ha contributo con opere narrative importanti a carattere esistenzialista. Esse rispecchiano, in generale, l'assurdo, l'alienazione e la solitudine dell'umano esistere, la vanità d'ogni sforzo di mutare ambienti e situazioni. Oltre il romanzo Alla fine del sonno è stata tradotta in italiano l’opera scritta nel 1950 La casa vuota (BUR, 1950).
 
“La scienza è lo sforzo titanico compiuto dall’intelletto umano per liberarsi dal suo isolamento cosmico attraverso la comprensione”.
 
E’ facile lasciarsi ‘catturare’ dalla narrazione, decisamente lieve e spigolosa, del romanzo di formazione Alla fine del sonno. I generi letterari che il testo richiama sono ben orchestrati e alternati: appunti di uno scienziato viaggiatore, riflessioni metafisiche ed esistenziali, saggistica e autobiografia.  
 
Alfred Issen­dorf, giovane olandese studioso di geologia, protagonista e voce narrante, parte per una ricerca scientifica nelle terre dell’estremo Nord della Norvegia, nella regione artica del Finnmark.
Per scrivere la tesi di dottorato con il professor Sibbelee, Alfred deve dimostrare alcune idee e supposizioni scientifiche del suo mentore; ovvero che alcuni laghetti circolari presenti nella regione sono in realtà crateri prodotti da meteorite. La speranza di Alfred è  di trovare frammenti e tracce della meteorite, fenomeno cosmico eccezionale così lontano nel tempo e nella storia della Terra e degli uomini. 
La ricerca scientifica va di pari passo con la ricerca interiore del protagonista. La sua sete di sapere però, a differenza degli altri ricercatori, è mossa più da motivi di natura personale – problemi legati alla sua identità e al suo desiderio di affermazione - che di natura scientifica. Il tanto desiderato successo, infatti, consentirà al protagonista di affermarsi come eminente scienziato, acquisendo quella notorietà che è sfuggita al padre, giovane botanico scomparso in un incidente di spedizione.
In seguito ad accordi tra le comunità accademiche, si aggiungono alla spedizione del protagonista altri tre giovani norvegesi: l’amico Arne, conosciuto ad Amsterdam, Qvigstad e Mikkelsen. Nel lungo tragitto attraverso il  paesaggio polare, che deve condurli preso i laghetti, il gruppo condivide, oltre la fatica del cammino, anche le differenti riflessioni e visioni del mondo e della realtà. Oggetto delle conversazioni sono, di volta in volta, le differenze tra le culture delle nazioni, la società dei lapponi e la loro vita fuori dalla civiltà, l’esistenza di Dio, il posto e lo scopo dell’uomo nella creazione, la finalità dell’esistenza per gli antichi.
 
Il paesaggio nordico, con il suo sole notturno che affascina e ostacola il sonno, fa da sfondo a tutta l’impresa. A differenza dei compagni norvegesi, per Alfred, che proviene da un paese assai più popolato, e il cui territorio è segnato dalla linearità e piattezza, il paesaggio polare, fortemente irregolare, accidentato, e in continuo dislivello, provoca una accentuata e profonda modificazione della percezione della realtà e delle categorie interiori, suscitando smarrimento, disorientamento e angoscia esistenziale.
Ogni elemento dell’ambiente e del paesaggio circostante, spesso inospitale, viene osservato e registrato dal giovane ed inesperto ricercatore, sempre più attento però a reperire indizi utili alla sua missione. Vede e osserva salici polari, betulle nane, fosse colme d’acqua limpida, stagni e laghetti, insenature, isolotti, ghiacciai, fiumi e colline brulle. La pericolosa discesa in un enorme crepaccio per raggiungere in profondità un ghiacciaio, in compagnia dell’amico Arne, provoca nel protagonista una crescente angoscia e un forte sentimento di demoralizzazione. Alfred comincia a nutrire sospetti verso i colleghi, ha paura di non riuscire nel suo intento, e comincia ad avvertire l’insensatezza dell’impresa che sta compiendo, fino a scoprire che le ‘foto aeree’, strumento di orientamento per la ricerca, tanto cercate nella fase di preparazione della spedizione, sono in realtà in mano a Mikkelsen. Da questo momento il sospetto di essere caduto in un inganno non lo abbandona più. Consapevole che “i massimi risultati non si ottengono necessariamente con il massimo dello sforzo, bensì quando ci si impegna al massimo su un terreno in cui si parte già avvantaggiati”, Alfred si rende ora conto di dover “competere con i norvegesi in casa loro”.
Dopo il distacco e la morte dell’amico Arne, il giovane ricercatore olandese si troverà solo e privo di ogni orientamento: totalmente desolato, comincerà lunghi soliloqui che esprimono solitudine cosmica e universale.
Senza i risultati sperati per la sua ricerca, senza nessuna scoperta di crateri di meteorite, Alfred è sulla via del ritorno, lungo l’itinerario antico del corriere dove i viaggiatori depongono una piccola pietra sui massi maggiori per segnare la pista ai prossimi viandanti.
Il ricercatore rimane convinto di essersi messo alla prova, di aver superato difficoltà estreme e allontanato i fantasmi e la paura di fare la stessa fine del padre, di aver ritrovato la strada anche senza la bussola, di vedersi diverso dall’inizio dell’esperienza, di aver vinto la sfida a prezzo di tanta e saggia sofferenza, via d’accesso alla maturità. L’imprevedibile a cui è andato incontro ha le stesse sfumature del ragionamento espresso dal protagonista che si guarda nello ‘specchio’ nell’altra opera di Hermans, la Casa vuota: “Chi si limita a pensare è in contatto con se stesso solo a metà. Vedere vale di più, vedere è tutto. Vedere in se stessi un altro significherebbe salvezza, ma si rimane sempre dalla parte sbagliata”.