Recensioni
La filosofia ebraica, oggi. Orizzonti, percorsi e problemi
Autore | Massimo Giuliani (a cura di) |
Genere | saggio filosofico |
Area | Attività Scientifica |
Casa editrice | Esedra |
Anno | 2013 |
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Dibattuta e massimamente problematica, la questione sull’esistenza e lo statuto di una ‘filosofia ebraica’ attraversa i secoli e la speculazione di numerosi pensatori trovando diverse e, spesso, contrastanti formulazioni. Se Yehuda Halevi, il geniale autore del Kuzari, difese l’ebraismo dalle incursioni sia del cristianesimo che della filosofia greca, lo sforzo del filosofo medievale Maimonide, il Rambam, fu totalmente rivolto alla ricerca di una conciliazione tra la Torah e Aristotele, tra la ‘sapienza’ ebraica e il pensiero filosofico greco. Quando nel 1904, Hermann Cohen – il fondatore della scuola di Marburgo – scrive che «la filosofia dell’ebraismo è l’essenza dell’ebraismo; senza filosofia non si può cogliere tale essenza» lo sforzo di massima sintesi è compiuto. I tre giorni di buio seguiti alla traduzione greca della Torah (la cosiddetta Bibbia dei LXX) sembrano lontani: un unico sole irradia filosofia ed ebraismo – un sole anzi, all’interno del quale, è necessario ricercare la vera essenza dell’ebraismo. Seppure con differenze radicali – anche la riflessione di Franz Rosenzweig si colloca in questo orizzonte. Ma ne rappresenta anche il confine e la crisi. L’orrore della Shoah imporrà un ripensamento profondo della questione com’era stata fino ad allora posta. Perché se Europa è stata luogo in cui il pensiero dell’Occidente ha trovato la propria dimora – erede più rigoroso della tradizione filosofica greca, e nello specifico proprio quella Germania che fu patria della grande stagione dell’idealismo – l’orrore che quella stessa Europa seppe concepire, non può essere in toto estraneo, in toto ‘altro’ dalla propria tradizione filosofica, quella tradizione con la quale essa ha ‘abitato’ e concepito il mondo. La riflessione di Emmanuel Lévinas parte proprio dall’indicazione di questo ‘nucleo’ costitutivo della violenza propria del ‘pensiero’ della tradizione: la violenza dell’identità. Con il ripresentarsi del problema di una filosofia ebraica s’impone, allora, di ripensare dal profondo non solo quella ‘tradizione’, ma il valore stesso e la ‘possibilità’ del pensiero, del fare filosofia, oggi. Ed è proprio questo oggi, questo – per dirla con la “lingua di santità” – hayyom, a riecheggiare nel titolo di un intenso e prezioso volume a cura di Massimo Giuliani, La filosofia ebraica, oggi. Orizzonti, percorsi e problemi (Esedra 2013), nel quale vengono raccolti gli interventi di I. Kajon, S. Levi Della Torre, D. Di Cesare, H. Baharier, G. Sansonetti, M. Chamla, O. Ombrosi e dello stesso curatore. Prezioso, dicevo, per la divergenza degli interventi e delle posizioni presentate che attestano la complessità e la difficoltà di apprendere ‘in pensieri’ questo oggi, perché è un ‘oggi’ che reca con sé anche le macerie e l’orrore di ieri. La possibilità di una filosofia ebraica, s’interroga così anzitutto a partire da questa crisi del pensiero dell’Occidente – come si chiede, nella presentazione del volume, Giuliani: «con quale razionalità, con quali scuole filosofiche e con quali modelli di pensiero oggi dovrebbe conversare chi interpreta il punto di vista di Gerusalemme, se è vero – come molti argomentano – che il punto di vista di Atene non esiste più? Che, entrati nell’era dei post, non esiste più una razionalità e un linguaggio filosofico condivisi e condividibili, essendo la ragione come evaporata nel corso della storia degli –ismi del XX secolo? Chi non ha familiarità con l’idea del “tradimento dei chierici” del Novecento, con il fallimento della filosofia ad Auschwitz o con la rinuncia della stessa ragione ad avanzare pretese di universalità in un mondo globalizzato e post-moderno?». Se è venuta meno Atene (e si tratterebbe di dare un significato determinato a questo tramonto) è venuto però anche meno il luogo occupato nell’opposizione da Gerusalemme. Perciò, rimarcare le peculiarità culturali e di pensiero, non deve far cessare l’interrogazione sul senso e sul valore della domanda che sorge anche nella differenza, soprattutto in essa – ben prima di ogni etichetta, ben prima di ogni classificazione. Filosofia ebraica ‘oggi’ – dunque – dove ebraica perde ogni valore di semplice aggettivo, ma mette in discussione il significato costitutivo di ciò che è ‘filosofia’ – spezzando così la durezza del pensiero dell’identità, ma al tempo stesso senza rifugiarsi nella troppo facile ‘scoperta’ di un’alterità tout court – ch’è solo mistificazione di un alterità che, per essere tale, dovrà anche ogni volta significare l’impossibilità della propria affermazione, della propria determinazione; ‘altra’, perciò, anche dalla pretesa di essere de-finita, risolta. Altra e dunque – anche – non meno, prossima. Così – e questo emerge con forza dalle pagine del volume – senza certo negare quella specificità, ma in forza di quella posizione specifica – si tratterà di pensare anche oltre, al di là di quell’’ebraico’. Un oltre al quale la stessa ebraicità – in quanto tale – rimanda. Come recita il Pirqé ‘Avot, il celebre trattato dei Padri: «Rabbi Hillel era anche solito dire: Se non son io per me, chi è per me? E quand'anche fossi io per me, che cosa sono io? E se non ora, quando?».
Giacomo Petrarca
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