Recensioni
Les Lumières du messianisme
Autore | Pierre Bouretz |
Genere | saggio |
Area | Attività Scientifica |
Casa editrice | Hermann - Paris |
Anno | 2008 |
Les Lumières du messianisme è un testo di Pierre Bouretz, un filosofo francese di cui in italiano è apparso un voluminoso studio, pubblicato in Francia nel 2003, dal titolo Testimoni del futuro. Filosofia e messianismo nel Novecento (Città Aperta 2009). Les Lumières du messianisme, uscito per Hermann, intende situarsi sulla stessa linea del libro precedente raccogliendo una serie di articoli e interventi vari, scritti in circostanze e in periodi diversi. Dei sette capitoli di cui si compone il testo almeno tre sono completamente, o parzialmente, inediti. Due capitoli nascono invece dalle conferenze pronunciate dall’autore all’interno dei Colloques des intellectuels juifs de langue française.
Il libro costituisce un’indagine all’interno del pensiero ebraico novecentesco, esaminato a partire dalla nozione di messianismo. Bouretz si concentra su figure ormai note nel panorama filosofico tedesco come Cohen, Bloch, Scholem, Benjamin, ma anche su George Steiner (cui dedica una lettura molto intelligente di Dopo Babele) o su filosofi francesi come Lévinas e Derrida, quest’ultimo al centro di ben due saggi e, in un certo senso, il vero protagonista del testo.
È proprio la nozione di messianismo, nell’accezione che ha assunto nella riflessione filosofica contemporanea, a costituire secondo Bouretz un legato dell’ebraismo tedesco, ossia di una tradizione di pensiero che, come ha ben rilevato anche Habermas, rappresenta ormai un punto di riferimento imprescindibile di tutto il Novecento. Autori come Benjamin, Cohen o Bloch hanno contribuito, per usare la metafora adottata da Bouretz, a far splendere «le luci del messianismo», illuminando la speculazione filosofica circa l’esperienza storica del tempo. Al centro di questa attenzione, in fondo, rimane l’idea che un’umanità che smarrisse completamente la possibilità di interrogarsi sulle modalità di pensare un qualsiasi rapporto alla trascendenza non sarebbe più nemmeno degna del suo nome.
Nel primo testo, intitolato Jérusalem et Athènes: les heures de la philosophie, Bouretz mette in evidenza l’annosa opposizione già sottolineata da Leo Strauss, connettendola alla reazione all’idea di Storia di derivazione hegeliana. Alla concezione di una storia del mondo come di un tribunale del mondo (Weltgeschichte als Weltgerichte), anche alla luce dell’esperienza esistenziale della Prima guerra mondiale, si oppongono strenuamente percorsi affatto differenti come quelli di Rosenzweig, nella Stella della Redenzione,o di Bloch, nello Spirito dell’Utopia. È dunque proprio in questa costellazione storico-concettuale, in seguito alla crisi del sistema hegeliano, che prende vita il paradigma messianico. Bouretz crede di poter leggere due forme diverse di declinare la stessa tensione: da una parte, con Cohen e Lévinas, si afferma un’escatologia razionale, che si rifà secondo Bouretz all’esperienza profetica di Amos; dall’altra, nelle opere di Benjamin e Scholem, l’idea messianica assume la forma di una rottura improvvisa nel corso caotico e per nulla razionale della Storia, nel solco di una tradizione ricondotta invece da Bouretz a Isaia. Al centro dei capitoli successivi troviamo il tema escatologico nel suo rapporto alla questione dell’accoglienza dello straniero e dell’ospitalità in generale. Nelle sue considerazioni, Bouretz si lascia guidare dai testi di Lévinas sul messianismo e da Politiche dell’amicizia di Derrida. Ne Le siècle d’Emmanuel Lévinas, ad esempio, Bouretz interpreta il progetto levinassiano di Totalità e Infinito allo stesso tempo come una presa di distanza definitiva dal sistema di Hegel e, in altro senso, come un’alternativa alla metafisica proposta da Heidegger. Nella visione escatologica di Lévinas, non soltanto l’era messianica non rappresenta la fine della Storia, ma il senso profondo della sua anticipazione non è altro che il richiamo all’unione indissociabile della vita spirituale e della solidarietà verso l’altro. Il quinto e il sesto capitolo, due inediti, sono intitolati Adieu, Jacques Derrida ed Entre amis. Bouretz cerca di ripensare la riflessione derridiana recuperandola all’interno del pensiero ebraico novecentesco. In particolare, si parte proprio da un intervento di Derrida al Colloque des intellectuels juifs de langue française sul tema della pace. Nei due saggi Bouretz mostra come il filosofo francese si situi lungo una tradizione che, partendo da Kant, viene ripresa prima da Cohen, e poi da Lévinas. Rispetto però all’analisi di Kant, con Lévinas e Derrida, secondo Bouretz, la riflessione intorno alla pace conosce un superamento della politica in direzione dell’ospitalità. Se infatti in Kant l’ospitalità rimane sempre regolata dalla cittadinanza, la novità apportata da Lévinas e Derrida, anche sulla scorta di alcune fonti talmudiche, risiede nel fatto che essi riconoscono nella pace un concetto debordante la sfera del politico, e che dunque assume per se una funzione escatologica, a cui anche la stessa idea di eternità non è in grado di aggiungere nulla.
Enrico Lucca
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